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ATTENZIONE: Questa versione del commentario è una traduzione automatica dell’originale. Il commentario originale è in tedesco. La traduzione è stata effettuata con www.deepl.com. Solo la versione originale fa fede. La forma tradotta del commentario non può essere citata
Commento su
Art. 52 CPC

Un commentario di Lorenz Sieber

Editato da Lorenz Droese

defriten

I. Il principio della buona fede (art. 52 cpv. 1 CPC)

A. Fondamenti

1 L'art. 52 cpv. 1 CPC impone a tutte le persone coinvolte in un processo civile di agire «secondo buona fede». Il codice di procedura civile riprende così il «principio fondamentale dell'ordinamento giuridico svizzero» contenuto nell'art. 2 cpv. 1 CC, secondo cui ogni persona deve agire in modo conforme a tale principio nell'esercizio dei propri diritti e nell'adempimento dei propri doveri. Questo principio generale del diritto contiene uno «standard di correttezza» e sottopone «i rapporti interpersonali [ai] valori etici [di] correttezza, lealtà [...] e correttezza [...]». In tal modo, l'art. 52 cpv. 1 CPC riprende un concetto giuridico le cui radici affondano nell'antichità e che produce i suoi effetti nell'intero ordinamento giuridico. In questo contesto, la disposizione obbliga tutti i soggetti processuali a un comportamento leale e corretto e al reciproco rispetto.

B. Buona fede nel processo

1. Applicazione al procedimento civile

2 Il precetto di agire secondo la buona fede contenuto nell'art. 52 cpv. 1 CPC si riferisce al procedimento civile, come da intendersi ai sensi dell'art. 1 CPC. Il riferimento al processo civile deriva già dal fatto che la disposizione è contenuta nel decreto di procedura. L'art. 52 cpv. 1 CPC afferma infatti che «le persone che partecipano al procedimento» devono comportarsi secondo la buona fede. Anche se l'applicabilità del principio sancito dall'art. 52 cpv. 1 CPC è limitata al procedimento civile, esso lo comprende comunque nella sua totalità. Ciò è dimostrato dalla sua inclusione tra i principi procedurali (art. 52-58 CPC), ovvero le «principali norme di riferimento del diritto di procedura civile» che caratterizzano ogni procedimento (civile). Il riferimento dell'art. 52 cpv. 1 CPC al processo civile ha molteplici effetti e occorre tenerne conto nella necessaria concretizzazione della disposizione.

2. Riferimenti alla genesi

3 La validità del principio di buona fede nel processo civile non è sempre stata riconosciuta: Il Tribunale federale non ha ritenuto necessario applicare l'art. 2 CC nel processo, in particolare perché, a differenza dei rapporti giuridici materiali, il procedimento, in base a una normativa esaustiva, non poteva svolgersi in modo diverso da quanto previsto, gli interessi in gioco erano quindi riconoscibili in anticipo e ponderati nei dettagli e non vi era spazio per perseguire interessi non riconosciuti dalla legge. Tuttavia, la Corte suprema ha ritenuto ammissibile l'applicazione della disposizione come principio sussidiario del diritto cantonale (consuetudinario). In un saggio fondamentale del 1943, Max Guldener ha invece dimostrato che il principio della buona fede può svolgere un ruolo prezioso nel processo civile, impedendo l'esercizio abusivo dei diritti procedurali, anche se la procedura scelta può essere basata sul testo della legge. Egli ha chiarito in modo convincente: «Se già nell'esercizio dei diritti privati è necessario agire secondo la buona fede, non può essere consentito, nell'affermare o difendere tali diritti in giudizio, ricorrere a tattiche che sono in contrasto con questo principio». Di conseguenza, il Tribunale federale ha qualificato l'art. 2 CC come «norma di dottrina generale del diritto», la cui validità non può essere negata al di fuori del diritto civile, e ha riconosciuto il principio di buona fede come principio generale applicabile anche al diritto processuale e al diritto delle esecuzioni. Tuttavia, nella misura in cui il processo civile era disciplinato dai Cantoni, il Tribunale federale ha attribuito anche il principio della buona fede al diritto cantonale. Ora che la competenza legislativa in materia di processo civile spetta alla Confederazione, l'art. 52 CPC chiarisce che il principio della buona fede è applicabile anche nel diritto di procedura civile.

3. Aspetti internazionali

4 La validità del principio di buona fede nel processo civile è riconosciuta anche a livello internazionale, come dimostra la sua inclusione nei Principi Unidroit di procedura civile transnazionale. Il loro articolo 11.1 recita: «Le parti e i loro avvocati devono comportarsi in buona fede nei rapporti con il tribunale e con le altre parti». In tal modo, le parti sono tenute in particolare a «non presentare una domanda, una difesa, una mozione o altra iniziativa o risposta che non sia ragionevolmente sostenibile in diritto e in fatto».

C. Legame speciale o rapporto giuridicamente rilevante

5 Il principio di buona fede disciplina il contenuto dei rapporti giuridici e si ricollega a un rapporto speciale o giuridicamente rilevante esistente tra le parti interessate, nell'ambito del quale si sviluppano i diritti e gli obblighi derivanti dal principio generale. Ciò vale nel processo come in altri rapporti; l'art. 52 cpv. 1 CPC non si discosta dall'art. 2 cpv. 1 CC a questo proposito. Di conseguenza, il Tribunale federale afferma, in relazione alla notifica degli atti giudiziari: «Secondo la giurisprudenza, solo con la pendenza del giudizio sorge un rapporto processuale che obbliga le parti a comportarsi secondo la buona fede [...]». Si fa riferimento al rapporto giuridico esistente tra le parti e tra queste e il tribunale sin dall'inizio del procedimento, al quale possono essere attribuiti i diversi diritti e doveri delle parti. Nella misura in cui le persone coinvolte nel rapporto processuale sono interessate, il dovere di agire secondo buona fede si riferisce quindi proprio a tale rapporto.

6 Nel contesto di un processo civile e in relazione funzionale ad esso, oltre al rapporto processuale esistono altri rapporti giuridicamente rilevanti che possono fungere da punto di riferimento per l'obbligo di comportamento leale e corretto ai sensi dell'art. 52 cpv. 1 CPC. Si possono citare, ad esempio, i rapporti di diritto pubblico tra lo Stato e la rappresentanza legale gratuita o un perito, oppure l'obbligo di testimoniare derivante dalla legge. Per quanto riguarda queste persone, l'obbligo di agire secondo buona fede si ricollega a tali rapporti.

II. Destinatari della norma

7 Ai sensi dell'art. 52 cpv. 1 CPC, tutte le persone coinvolte nel procedimento devono agire secondo le regole della buona fede. Il testo della legge non comprende quindi solo le parti, il tribunale e i suoi membri, ovvero i giudici e gli altri funzionari giudiziari, ma anche tutte le altre persone coinvolte nel procedimento, quali i rappresentanti delle parti, gli intervenienti e i terzi, come i testimoni o i periti. Nulla di diverso risulta dalla versione italiana («tutte le persone che partecipano al procedimento») e dalla versione francese («quiconque participe à la procédure») della legge. Dal riferimento dell'art. 52 cpv. 1 CPC al processo civile si deduce tuttavia che l'applicazione della norma presuppone un nesso con tale processo. Di conseguenza, il principio di buona fede applicabile secondo il codice di procedura civile può avere effetto solo nella misura in cui sono in questione atti direttamente connessi al processo. Per quanto riguarda gli aspetti più ampi, ad esempio il risarcimento di un perito, sono determinanti solo i diritti e gli obblighi derivanti dal rapporto specifico.

8 Non sussistono motivi per una limitazione più ampia della disposizione di ampia portata dell'art. 52 cpv. 1 CPC: Sebbene sia in parte messo in dubbio che l'art. 52 cpv. 1 CPC si applichi anche a terzi, in particolare a testimoni, periti e traduttori che partecipano solo indirettamente al processo, ciò non è rilevante. Poiché questi non sarebbero contemplati dal rapporto processuale, mancherebbe il collegamento necessario per l'applicazione della norma. Come esposto, tuttavia, anche nei confronti di queste persone sussistono rapporti giuridicamente rilevanti che richiedono l'applicazione dell'art. 52 cpv. 1 CPC. A questo proposito occorre considerare che queste persone partecipano al procedimento civile in questione (in qualsiasi forma) solo in virtù di tali rapporti.

III. Contenuto della norma

A. Concretizzazione dell'art. 52 cpv. 1 CPC

1. Formazione di gruppi di casi

9 Il precetto di agire secondo buona fede, quindi l'obbligo di condurre il processo in modo leale e corretto e di prestare reciproca considerazione, è decisamente indeterminato e può essere qualificato come clausola generale. Esso deve essere concretizzato nel singolo caso, procedendo secondo l'art. 1 cpv. 2 CC e formulando regole come farebbe il legislatore. La giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato una serie di casi tipici che concretizzano il principio di buona fede e che possono essere utilizzati per risolvere nuovi casi. Prima di presentare alcuni di questi casi, è opportuno soffermarsi brevemente su alcuni aspetti fondamentali che sembrano particolarmente rilevanti per la concretizzazione dell'art. 52 cpv. 1 CPC. Occorre inoltre illustrare il rapporto tra il principio generale di agire secondo la buona fede e le disposizioni di legge che già ne contengono una concretizzazione.

2. Considerazione delle peculiarità procedurali

a. Convenzione europea dei diritti dell'uomo e Costituzione federale

10 Ai procedimenti giudiziari in materia civile si applicano l'art. 6 n. 1 CEDU e l'art. 29 cpv. 1 Cost. Le garanzie procedurali ivi contenute (vale a dire la garanzia di un processo equo e quella di un trattamento equo e imparziale) e i loro contenuti parziali presentano diversi punti di contatto con il principio di buona fede. Ad esempio, il divieto di formalismo eccessivo e il principio di celerità. Nella misura in cui è interessato il rapporto tra il tribunale e una persona coinvolta nel procedimento, sia essa una parte o un altro partecipante al procedimento, occorre quindi tenere conto di queste garanzie nella concretizzazione dell'art. 52 cpv. 1 CPC. L'obbligo del tribunale di agire secondo la buona fede deriva anche dall'art. 9 Cost.

b. La buona fede nel processo civile contenzioso

11 Il codice di procedura civile si applica in particolare alle controversie civili (art. 1 lett. a CPC). Sono considerate tali i procedimenti contraddittori tra almeno due parti che mirano alla regolamentazione definitiva e duratura di rapporti di diritto civile nel senso di una res iudicata. Il processo civile può quindi essere inteso come un procedimento volto a determinare in modo autorevole l'esistenza e il contenuto dei rapporti giuridici tra le parti. Esso serve a far valere i loro diritti (soggettivi). Come in generale nei rapporti giuridici e in particolare nella fondazione dei propri diritti, anche nella loro esecuzione le parti sono tenute al rispetto del principio generale di buona fede. Tuttavia, le parti in causa sono in conflitto tra loro e devono quindi trattarsi con una certa diffidenza. Non ci si può aspettare che aiutino la controparte a vincere il processo; il principio di buona fede non vieta né tattiche processuali né l'attuazione di una strategia processuale vantaggiosa. Le parti hanno inoltre il diritto fondamentale di invocare le norme procedurali esistenti e di esigere il rispetto delle forme procedurali. Di questi aspetti occorre tener conto nella concretizzazione dell'art. 52 cpv. 1 CPC, nella misura in cui riguarda il rapporto tra le parti processuali. Come è stato più volte osservato, in questo contesto il principio di buona fede deve essere applicato con ancora maggiore cautela che nel diritto materiale.

3. Buona fede e divieto dell'abuso del diritto

12 Come già esposto, il codice di procedura civile riprende il principio generale del processo civile contenuto nell'art. 2 CC. Secondo il suo tenore letterale, la disposizione dell'art. 52 cpv. 1 CPC riprende solo il precetto di agire secondo la buona fede di cui all'art. 2 cpv. 1 CC. È tuttavia riconosciuto che anche nel processo l'abuso manifesto di un diritto non gode di tutela giuridica, cosicché l'art. 52 cpv. 1 CPC comprende anche il divieto di abuso di diritto di cui all'art. 2 cpv. 2 CC. L'art. 52 cpv. 1 CPC contiene quindi un imperativo di lealtà e un divieto di slealtà.

4. Rapporto con la normativa legale

a. Considerazioni generali

13 L'art. 52 cpv. 1 CPC contiene un principio giuridico generale che si affianca alle singole disposizioni di legge. Occorre chiarire in che modo questo principio generale si rapporta alla normativa legale nel dettaglio. Il Tribunale federale ha già osservato in precedenza in merito a tale problematica: «[L]e principe de la bonne foi ne peut primer celui de la légalité et donner au juge le pouvoir de modifier comme il l'entend la loi ou d'en faire purement abstraction […]. In particolare, il riferimento al principio della buona fede non consente al giudice di introdurre nel diritto ogni sorta di postulati di etica sociale che il legislatore non ha voluto inserirvi. [...] Inoltre, quando lo scopo di una disposizione legale è definito chiaramente o ha carattere assoluto, come nel caso delle norme procedurali, non vi è normalmente spazio per un adattamento al caso particolare in nome della buona fede [...].» Di conseguenza, nel diritto processuale civile vi è generalmente poco spazio per derogare a una norma procedurale chiara in base alla buona fede o all'abuso di diritto. Si può quindi ricorrere alla clausola generale dell'art. 52 cpv. 1 CPC solo se un determinato atto, che non è oggetto di una norma speciale, deve essere considerato contrario alla buona fede.

14 Nel dettaglio, occorre chiarire mediante interpretazione delle disposizioni legislative in questione se e in quale misura il legislatore abbia lasciato spazio al ricorso alla buona fede. A tal proposito, i nessi appena illustrati e il fatto che le parti in causa siano in conflitto tra loro impongono un'applicazione cauta del principio generale. Allo stesso tempo, la legge stessa, all'art. 52 cpv. 1 CPC, prevede l'applicazione della buona fede anche nel processo civile, motivo per cui non è giustificata un'applicazione troppo restrittiva del principio generale. Ciò vale a maggior ragione se si considera che il codice di procedura civile non contiene una disciplina esaustiva del processo civile in grado di contemplare preventivamente tutti gli interessi in gioco ed escludere qualsiasi necessità di un imperativo generale di agire secondo la buona fede.

15 Il principio di buona fede non ha tuttavia solo un effetto correttivo rispetto alle singole norme di legge. Esso deve piuttosto essere preso in considerazione già nell'ambito dell'interpretazione (teleologica) delle singole disposizioni del decreto di procedura, in modo che queste possano essere applicate senza contraddizione con il principio generale del diritto.

b. Esempi di concretizzazione del principio di buona fede nella legge

16 In particolare, si può fare riferimento alle seguenti concretizzazioni del principio di buona fede nel codice di procedura civile:

17 Secondo l'art. 49 cpv. 1 CPC, una parte che intende ricusare un giudice deve presentare immediatamente una richiesta in tal senso al tribunale non appena viene a conoscenza del motivo di ricusazione.

18 L'art. 56 CPC obbliga il tribunale a dare alle parti la possibilità di chiarire e integrare le loro argomentazioni ponendo loro domande appropriate, qualora queste siano poco chiare, contraddittorie, indeterminate o manifestamente incomplete (cosiddetto dovere di domanda del tribunale).

19 Ai sensi dell'art. 128 cpv. 3 CPC, le parti possono essere punite con una multa disciplinare in caso di conduzione processuale dolosa o temeraria.

20 L'art. 132 cpv. 1 e 2 CPC stabilisce che le memorie incomplete, illeggibili, irregolari, incomprensibili o prolisse devono essere migliorate entro un termine supplementare fissato dal tribunale. Secondo l'art. 132 cpv. 3 CPC, le memorie querule e abusive vengono invece respinte senza ulteriori indugi.

21 Ai sensi dell'art. 134 CPC, la citazione in giudizio deve essere inviata almeno dieci giorni prima della data di comparizione, salvo diversa disposizione di legge.

22 In caso di rifiuto di accettare una comunicazione giudiziaria, questa si considera comunque notificata il giorno del rifiuto in caso di notifica personale, ai sensi dell'art. 138 cpv. 3 lett. b CPC.

23 Ai sensi dell'art. 145 cpv. 3 CPC, il tribunale richiama d'ufficio le parti alle eccezioni alla sospensione dei termini.

24 L'art. 148 CPC disciplina il recupero dei termini non osservati.

25 Ai sensi dell'art. 160 CPC, le parti hanno l'obbligo di collaborare all'assunzione delle prove. Ciò vale in particolare quando la controparte che deve provare un fatto si trova in difficoltà probatoria e la parte non gravata dell'onere della prova è più vicina alla prova, nonché in relazione alla prova di fatti negativi. Ai sensi dell'art. 164 CPC, il tribunale tiene conto del rifiuto ingiustificato di collaborare all'assunzione delle prove nella valutazione delle prove.

B. Singoli gruppi di casi

1. Osservazioni preliminari

26 Di seguito vengono presentati alcuni casi tipici riconosciuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza di comportamenti contrari alla buona fede nel processo. Questi devono essere classificati, alla luce di quanto sopra esposto, a seconda che sia in questione il rapporto tra le parti, quello delle parti con il tribunale o un altro soggetto coinvolto nel procedimento e a seconda che sia invocabile il dovere di agire in buona fede o il divieto di abuso di diritto. Questa esposizione non è esaustiva. I casi riconosciuti possono servire piuttosto a concretizzare l'art. 52 cpv. 1 CPC in altre costellazioni, in particolare quelle in cui sono coinvolti destinatari della norma che non fanno parte del rapporto processuale. A proposito di quest'ultimo caso è stato giustamente osservato che gli obblighi di comportamento che incombono a queste persone sono spesso disciplinati altrove dalla legge.

2. Il rapporto tra le parti

a. Obbligo di comportarsi secondo buona fede

27 Dall'art. 52 cpv. 1 CPC deriva che gli atti processuali (unilaterali e multilaterali) devono essere interpretati secondo buona fede. Di conseguenza, per la comprensione di un atto processuale non è determinante la volontà soggettiva della parte, ma il modo in cui esso poteva essere oggettivamente inteso tenendo conto di tutte le circostanze. Errori evidenti come l'errata designazione di un rimedio giuridico o della controparte, errori di calcolo o una scelta lessicale errata o infelice non sono pregiudizievoli. In caso di ambiguità o incompletezza di una domanda, il tribunale può essere tenuto, ai sensi dell'art. 56 CPC, a dare a una parte la possibilità di chiarire la sua richiesta ponendole domande appropriate. Un atto processuale inammissibile o inefficace deve inoltre essere reinterpretato come un atto processuale valido che persegue lo stesso scopo, se il primo presenta tutti gli elementi costitutivi del secondo e se è possibile determinare la volontà della parte di compiere l'altro atto processuale in caso di errore del primo. Si può inoltre tenere conto del fatto che si tratta di un atto presentato da un profano. In particolare, non ci si può aspettare che una parte che non ha conoscenze giuridiche utilizzi termini giuridici specialistici o che li utilizzi nel senso usuale in ambito specialistico. Le richieste processuali non devono essere interpretate alla lettera senza chiedersi quale sia il loro significato. Esse devono sempre essere lette alla luce della motivazione.

28 Le parti hanno un obbligo di verità in buona fede, in quanto non possono avanzare affermazioni di fatto false in modo doloso né contestare consapevolmente fatti veri. Un'affermazione o una contestazione consapevolmente falsa non viene presa in considerazione nel processo e anche una dichiarazione concordante delle parti contraria alla verità non è vincolante per il tribunale. Ciò non significa tuttavia che siano ammesse solo le affermazioni che la parte sa essere vere e che possa essere contestato solo ciò che è noto essere falso. Sono ammesse anche mere supposizioni, purché non siano del tutto prive di elementi concreti. Tali supposizioni possono addirittura essere necessarie ai fini del procedimento. È ammissibile affermare un fatto noto come falso che ha solo effetti a proprio svantaggio. Non sussiste alcun obbligo di presentare fatti sfavorevoli alla propria posizione o fatti che contraddicono la propria rappresentazione dei fatti. L'obbligo della parte non gravata dell'onere della prova di contestare in modo sostanziale le affermazioni della controparte deriva quindi in parte dall'obbligo di verità. Nella misura in cui una parte è tenuta a collaborare all'assunzione delle prove, in particolare nell'ambito di un interrogatorio delle parti o di una testimonianza, l'obbligo di verità deriva già dall'art. 160 cpv. 1 lett. a, dall'art. 191 cpv. 1 e dall'art. 192 cpv. 1 CPC.

29 Dal principio di buona fede si deduce infine l'imperativo della corrispondenza delle prestazioni nel processo. Se una parte suscita nella controparte un affidamento meritevole di tutela, essa è tenuta a rispettarlo. L'affidamento è meritevole di tutela solo se la controparte non era a conoscenza dei fatti effettivi e non poteva venirne a conoscenza nemmeno prestando l'attenzione richiesta nel caso concreto. Ad esempio, una parte deve attenersi alle proprie dichiarazioni dalle quali la controparte può dedurre in buona fede l'intenzione di prendere domicilio. L'impegno a rispettare l'apparenza giuridica creata dalle dichiarazioni avviene senza tener conto di una volontà interna divergente della parte e con le relative conseguenze per la competenza territoriale del tribunale. Tuttavia, occorre sempre valutare criticamente in che misura, tenuto conto delle peculiarità del procedimento civile (controverso), sia giustificato un adempimento basato sulla fiducia nel singolo caso.

b. Divieto di abuso di diritto

30 Il divieto di abuso di diritto contiene un divieto di creare o sfruttare in modo abusivo situazioni giuridiche processuali. Se una parte ottiene un vantaggio processuale nei confronti della controparte in modo abusivo, tale vantaggio non viene riconosciuto. Agisce in modo abusivo, ad esempio, chi prima impedisce alla controparte onerata dell'onere della prova di fornire la prova e poi sostiene che tale prova è fallita. In questo caso, alla parte deve essere negato il diritto di presentare come contestata l'affermazione di fatto di cui è stata impedita la prova.È inoltre abusiva l'azione contro più controparti quando ha il solo scopo di eludere il foro competente di una delle controparti. Contro il divieto di abuso di diritto può violare anche l'esercizio di un diritto divisibile in più azioni parziali al fine di evitare un determinato tipo di procedimento o una determinata competenza.

31 Non trova protezione l'abuso di poteri procedurali. Al comportamento abusivo deve essere negata la conseguenza giuridica che sarebbe normale in circostanze normali. È abusivo l'esercizio inutile, vessatorio o contrario allo scopo del diritto. Rientra in questa categoria, ad esempio, la proposizione maliziosa o temeraria di un'azione senza prospettive di successo o la presentazione di un ricorso o di un mezzo di impugnazione con cui non si perseguono interessi legittimi, ma altri scopi, come il ritardo del procedimento o il fastidio della controparte. Non agisce invece in modo abusivo chi difende in sede di ricorso una decisione di grado inferiore che gli è favorevole. È vessatoria la presentazione di una pluralità di istanze che sono in palese sproporzione rispetto agli interessi perseguiti.

32 Infine, l'abuso del diritto può essere costituito da un comportamento contraddittorio delle parti. È abusivo sollevare eccezioni formali solo quando l'esito del procedimento è sfavorevole, sebbene esse avrebbero potuto essere fatte valere già in precedenza. Anche gli elementi di fatto nuovi devono essere introdotti nel procedimento il più rapidamente possibile e non possono essere trattenuti per richiedere, sulla base di essi, l'annullamento di una decisione sgradita in una fase successiva del procedimento. Una parte deve accettare l'accusa di abuso di diritto se rimprovera al tribunale di aver inammissibilmente respinto un mezzo di prova o di aver omesso un atto istruttorio, sebbene in precedenza avesse acconsentito all'ammissione del primo o avesse rinunciato al secondo nel corso del procedimento. Si comporta in modo contraddittorio una parte il cui comportamento è incompatibile con la sua precedente condotta processuale nei confronti della stessa controparte e finalizzato all'ottenimento di un vantaggio ingiustificato. È inoltre inammissibile assumere posizioni contraddittorie nello stesso procedimento. Una richiesta di misure superprovvisorie può essere contraria alla buona fede se con essa si attende che si verifichi una particolare urgenza. Il divieto di abuso del diritto impone alle parti un comportamento coerente durante il processo. Va tuttavia sempre tenuto presente che le parti sono contrapposte in un contenzioso civile e che quindi non si può pretendere da loro più del rispetto di un certo standard di correttezza, e che il divieto di abuso del diritto non può prevalere su una normativa precedente.

3. Il rapporto tra il tribunale e le parti

a. Obbligo di comportarsi secondo buona fede

33 Il tribunale è tenuto alla verità; non può mentire o ingannare le parti del procedimento fornendo loro informazioni consapevolmente false. Le parti sono generalmente tutelate da informazioni errate (per errore), potendo a tal proposito fare riferimento ai criteri sviluppati in relazione all'art. 9 Cost. La fiducia di una parte in un'informazione fornita dal tribunale su una questione concreta che si pone nel corso del procedimento è quindi meritevole di tutela se la parte non poteva facilmente riconoscere l'inesattezza dell'informazione e ha preso, confidando in essa, disposizioni che non può revocare senza subire uno svantaggio. Il diritto alla tutela dell'affidamento cessa di sussistere se l'ordinamento giuridico è cambiato tra il momento in cui è stata fornita l'informazione e il momento in cui si è verificato il fatto, oppure se sussistono interessi prevalenti all'applicazione corretta del diritto. L'affidamento meritevole di tutela può sorgere solo in relazione a questioni procedurali, ma non a questioni di diritto sostanziale, la cui validità deve essere chiarita dal processo. Le parti non possono confidare nel fatto che il tribunale possa fornire informazioni vincolanti se non attraverso la pronuncia della sentenza. Il tribunale può certamente giustificare un affidamento legittimo non solo con informazioni (erronee), che costituiscono tuttavia un gruppo di casi rilevante, ma anche con il suo comportamento complessivo. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un provvedimento (processuale) dia alle parti l'impressione che il tribunale si comporterà in un determinato modo. In tal modo si tiene conto del principio della corrispondenza delle aspettative anche nel rapporto tra il tribunale e le parti.

34 Una parte non può subire uno svantaggio derivante da un vizio di apertura o da un'errata indicazione dei rimedi giuridici. Il caso dell'errata indicazione dei rimedi giuridici è stato disciplinato espressamente dall'art. 52 cpv. 2 CPC nell'ambito della recente revisione del codice di procedura civile. Le suddette fattispecie saranno quindi trattate in n. 52 segg. in occasione della discussione di questa disposizione.

35 Il principio di buona fede continua ad avere effetto in caso di modifica di una prassi giurisprudenziale: esso non osta a una modifica della prassi basata su motivi oggettivi e vale il principio secondo cui la nuova giurisprudenza è immediatamente applicabile, anche ai procedimenti pendenti. Tuttavia, se un cambiamento di prassi riguarda i presupposti per l'ammissibilità di un ricorso, in particolare i termini e le forme prescritti, e se la sua applicazione immediata comporterebbe uno svantaggio per la parte interessata, esso deve essere preventivamente annunciato in base al principio della buona fede. Nel procedimento che ha dato origine al cambiamento di prassi, rimane quindi determinante la prassi precedente.

36 Infine, il tribunale viola il principio della buona fede anche quando non emette la sua decisione entro un termine adeguato alla natura della causa e alle circostanze del caso concreto, violando così il divieto di ritardi ingiustificati o il principio di celerità. In questo caso è tuttavia interessato in primo luogo il campo di applicazione dell'art. 6 n. 1 CEDU e dell'art. 29 cpv. 1 Cost., motivo per cui non è necessario approfondire ulteriormente questa problematica in questa sede.

b. Divieto di abuso del diritto

37 Il tribunale è tenuto ad applicare le norme procedurali e i requisiti formali vigenti al fine di garantire lo svolgimento regolare del procedimento e quindi la costituzionalità dello stesso, ma non può farlo con eccessivo rigore. Il limite al rigore formale da applicare nel processo è costituito dal divieto di formalismo eccessivo. Ciò non riguarda solo il contenuto normativo del divieto di negare i diritti secondo l'art. 6 n. 1 CEDU e l'art. 29 cpv. 1 Cost., ma presenta anche uno stretto legame con il principio di buona fede. Il tribunale agisce in modo abusivo quando cade in un formalismo eccessivo. Ciò si verifica quando vengono stabilite norme formali rigorose per un procedimento senza che tale rigore sia oggettivamente giustificato, quando il tribunale applica le norme formali con eccessiva severità o impone requisiti eccessivi agli atti giudiziari e impedisce in modo inammissibile alla persona che cerca giustizia di adire le vie legali. Ne consegue che il tribunale deve, ad esempio, interpretare le richieste presentate alla luce della motivazione dell'atto di diritto e, se del caso, della decisione impugnata, oppure segnalare alle parti le carenze degli atti di diritto e dare loro la possibilità di porvi rimedio. Ai fini del rispetto dei termini è sufficiente anche una comunicazione indirizzata in modo errato o non affrancata o affrancata in modo insufficiente, purché la parte ponga rimedio al vizio dopo la restituzione da parte della posta (dopo la scadenza del termine).

38 Come le parti, anche il tribunale agisce in modo abusivo se si comporta in modo contraddittorio. Ad esempio, il tribunale cade in un abuso di diritto se invia una decisione a un indirizzo non più valido e successivamente rimprovera alla parte di aver rifiutato di accettarla, nonostante fosse stato informato del suo nuovo domicilio. Il tribunale può inoltre essere accusato di violazione della buona fede se notifica una decisione alla parte durante le sue ferie, nonostante le avesse precedentemente assicurato che avrebbe rinunciato a notifiche con effetto per il termine durante tale periodo. Il Tribunale federale ha giudicato insolito, ma non contrario alla buona fede, il fatto che un tribunale, dopo che la controparte ha potuto pronunciarsi sui presupposti del procedimento, fissi un termine per la risposta scritta a una domanda giudiziale, ma poi, alcuni giorni dopo, revochi tale termine e non entri nel merito della domanda.

39 Infine, anche le parti non possono comportarsi in modo sleale o abusivo nei confronti del tribunale. Pertanto, a una parte che richiede l'assistenza giudiziaria gratuita non può essere opposto, in linea di principio, che essa è responsabile della propria indigenza. Tuttavia, se ha rinunciato a un reddito proprio in vista del processo da intentare o ha ceduto determinati beni patrimoniali, tale comportamento non è tutelato e le può essere negato il beneficio della legge.

4. Altre parti coinvolte

40 L'obbligo di verità non vale solo per le parti e il tribunale, ma anche per le altre parti coinvolte in un procedimento. Questo obbligo è spesso oggetto di una normativa autonoma. A questo proposito si rimanda in particolare all'art. 171 cpv. 1 CPC per i testimoni e all'art. 184 cpv. 1 CPC per i periti. Anche in questo caso, tuttavia, dal principio di buona fede deriva che le dichiarazioni non veritiere rese in giudizio devono rimanere irrilevanti.

IV. Conseguenze giuridiche della violazione del dovere di agire in buona fede

A. In generale: conseguenze giuridiche relative al singolo caso

41 Il dovere di agire in buona fede richiede, in generale, che venga rispettata la fiducia legittima e che a un comportamento in buona fede venga negato qualsiasi effetto giuridico. Il significato concreto di tale principio può essere determinato solo alla luce del comportamento specifico in questione. Le conseguenze giuridiche della violazione del principio giuridico sono quindi determinate in base alle categorie di casi sviluppate per la sua applicazione. Per i dettagli si rimanda a quanto esposto nella discussione delle singole categorie di casi.

B. Sanzioni procedurali (civili)

42 Il tribunale può tenere conto di un comportamento in malafede nel processo nella ripartizione delle spese processuali. Secondo l'art. 107 cpv. 1 lett. f CPC, tale comportamento può giustificare una deroga ai principi generali di ripartizione. Inoltre, il tribunale ha la possibilità, ai sensi dell'art. 108 CPC, di addebitare le spese processuali inutili alla parte che le ha causate. Il ricorso a queste disposizioni è tuttavia necessario solo nei casi in cui la violazione del dovere di lealtà non comporta comunque la perdita della causa, in particolare perché non si dà seguito a un'azione o a un rimedio giuridico e la parte che ha agito in modo sleale è quindi già tenuta a sostenere le spese ai sensi dell'art. 106 CPC. Si pensi ad esempio ai casi in cui alla parte che alla fine ha ottenuto ragione possono essere contestate singole violazioni del principio di buona fede. In caso di conduzione dolosa o temeraria del processo, le spese giudiziarie possono essere poste a carico della parte interessata anche nei procedimenti gratuiti, ai sensi dell'art. 115 cpv. 1 CPC. Ciò vale in particolare, ai sensi dell'art. 119 cpv. 6 CPC, anche nei procedimenti di assistenza giudiziaria gratuita. Per contro, nonostante la perdita della causa, ai sensi dell'art. 107 cpv. 1 lett. b CPC non sono addebitate spese alla parte che ha agito in buona fede. Ciò vale in particolare quando una domanda è dichiarata irricevibile a causa di un cambiamento di prassi (che in via eccezionale non deve essere annunciato in anticipo).

43 L'accesso al tribunale non deve essere concesso per richieste in malafede o temerarie, ma deve essere aperto solo per il perseguimento di interessi meritevoli di tutela. In caso di conduzione del processo in malafede non sussiste quindi alcun diritto all'assistenza giudiziaria gratuita e in tal caso il beneficio giuridico concesso può essere revocato (anche con effetto retroattivo).

44 In caso di conduzione del processo in modo doloso o temerario e quindi anche in malafede, il tribunale ha la possibilità di infliggere alla parte o al suo rappresentante una multa disciplinare ai sensi dell'art. 128 cpv. 3 CPC. Si tratta di una misura disciplinare che può essere adottata in aggiunta all'imposizione delle spese processuali.

C. Sanzioni penali

45 Un comportamento contrario alla buona fede può anche essere rilevante dal punto di vista penale. Ai sensi dell'art. 306 cpv. 1 e dell'art. 307 cpv. 1 CP, la parte che, dopo essere stata ammonita dal giudice, rende una falsa testimonianza, nonché i terzi che partecipano indirettamente al processo (testimoni, periti, traduttori, interpreti) che rendono false dichiarazioni, forniscono un falso referto o una falsa perizia o traducono in modo errato, sono punibili con una pena detentiva o con una pena pecuniaria. interpreti) che rendono false dichiarazioni, forniscono un falso risultato di conoscenza o un falso perizia o traducono in modo errato, possono essere puniti con una pena detentiva o pecuniaria. Un membro del tribunale può rendersi punibile per abuso d'ufficio ai sensi dell'art. 312 CP in caso di comportamento abusivo. In singoli casi può essere configurato anche il reato di falso in atto pubblico ai sensi dell'art. 251 CP. L'affermazione consapevolmente falsa di una parte in un processo può quindi costituire un reato di frode processuale ai sensi dell'art. 146 CP. La frode processuale consiste nell'inganno doloso del tribunale mediante affermazioni false delle parti processuali, volte a determinare una decisione lesiva del patrimonio di una parte processuale o di terzi (materialmente infondata). Il fatto che una parte sia già stata condannata al pagamento di una multa d'ordine ai sensi dell'art. 128 cpv. 3 CPC, che non costituisce una misura penale, non esclude l'azione penale nei suoi confronti.

D. Risarcimento danni

46 L'adizione di un'azione, l'esercizio di rimedi giuridici o di mezzi di ricorso e la presentazione di istanze processuali sono in linea di principio legittimi anche se l'atto in questione si rivela infine infruttuoso. Chiunque è legittimato a rivendicare la tutela giuridica per presunti diritti, purché agisca in buona fede. La controparte deve accettare gli svantaggi che ne derivano, fatte salve le conseguenze in materia di risarcimento ai sensi dell'art. 106 segg. CPC. Se invece il procedimento statale viene utilizzato in modo abusivo o se in tale procedimento si agisce in modo sleale o doloso, ciò può giustificare una richiesta di risarcimento ai sensi dell'art. 41 CO. Si pensi in particolare all'avvio di procedimenti di ricorso manifestamente privi di prospettive di successo, all'avvio di un processo senza interesse alla tutela giuridica, alla conduzione vessatoria del processo al solo scopo di danneggiare la controparte o all'avvio di un procedimento in contrasto con un chiaro accordo o per perseguire scopi procedurali estranei (ad es. ritardi).

V. Applicazione delle norme

A. Conseguenze generali

1. Procedimento di primo grado

47 Il tribunale applica d'ufficio il diritto ai sensi dell'art. 57 CPC. Di conseguenza, deve tener conto d'ufficio del principio di buona fede, purché i presupposti di fatto necessari siano stati addotti e accertati nei modi previsti dal codice di procedura civile. Non è necessaria alcuna eccezione speciale. Ai sensi dell'art. 8 CC e dell'art. 55 cpv. 1 CPC, spetta normalmente alla parte che fa valere un comportamento abusivo della controparte affermare e provare i fatti corrispondenti. Ciò vale in ogni caso quando la violazione del principio di buona fede invocata deriva da un atto della controparte che non ha un nesso diretto con il processo, ad esempio in caso di ostruzione della prova o di abuso dei poteri processuali. Se invece la violazione del principio di buona fede invocata si basa su un comportamento della controparte nel processo che è direttamente percepibile dal tribunale, ad esempio in caso di comportamento contraddittorio, i fatti corrispondenti devono essere considerati noti al tribunale ai sensi dell'art. 151 CPC e non devono essere né asseriti né provati. Il tribunale è tenuto a prendere in considerazione d'ufficio i fatti corrispondenti. Lo stesso vale quando è in discussione il comportamento del tribunale stesso o quando quest'ultimo deve accertare d'ufficio i fatti ai sensi dell'art. 296 cpv. 1 CPC.

2. Procedimento di ricorso

48 Se il tribunale di prima istanza applica in modo errato, secondo una delle parti, l'art. 52 CPC o anche l'art. 9 o 29 cpv. 1 Cost., quest'ultima può impugnare la decisione mediante ricorso in appello (art. 308 segg. CPC) o ricorso (art. 319 segg. CPC), purché siano soddisfatti i presupposti per l'esercizio del rimedio giuridico in questione. Tuttavia, un interesse degno di tutela al ricorso ai sensi dell'art. 59 cpv. 2 lett. a CPC sussiste solo se l'errore contestato al giudice di prima istanza è tale da comportare la modifica o l'annullamento della decisione impugnata. Ciò deve essere dimostrato nella motivazione. In linea di principio, ovvero almeno in caso di dubbio, occorre quindi dimostrare perché la violazione del principio di buona fede invocata nel procedimento di ricorso avrebbe portato a un esito diverso del processo.

49 La violazione dell'art. 52 CPC può essere impugnata dinanzi al Tribunale federale mediante ricorso in materia civile ai sensi dell'art. 72 segg. LTF, la violazione di diritti costituzionali quali l'art. 9 o l'art. 29 cpv. 1 Cost. con questo o, se non è disponibile nel caso concreto, con ricorso sussidiario a motivo di violazione della Costituzione ai sensi dell'art. 113 segg. LTF. Non è invece ammesso dedurre la violazione del diritto processuale civile quando è aperto solo il ricorso sussidiario a motivo di violazione della Costituzione. Anche in questo caso occorre tenere presente che non sussiste alcun interesse degno di tutela o giuridicamente protetto alla risposta a questioni meramente teoriche o astratte. In caso di dubbio, occorre quindi dimostrare anche in questo caso in che misura la violazione del dovere di lealtà contestata sia idonea a influire sull'esito del procedimento. Anche in questo caso il ricorso deve soddisfare i requisiti formali generali e deve essere sufficientemente motivato.

B. Ulteriori sanzioni

50 Di norma, nella decisione finale (art. 104 cpv. 1 CPC), il tribunale fissa d'ufficio le spese giudiziarie in base alle tariffe cantonali applicabili (art. 96 CPC) e in applicazione dei principi sopra esposti (art. 105 cpv. 1 CPC). Essa concede un indennizzo alle parti solo su richiesta, che non deve essere quantificata (art. 105 cpv. 2 CPC). Se il tribunale ripartisce le spese processuali secondo i principi usuali, segnatamente in base alla soccombenza e al successo processuale ai sensi dell'art. 106 cpv. 1 CPC, non è necessario, secondo la giurisprudenza, sentire le parti sulla questione delle spese. Se il tribunale intende derogare a questi principi perché una delle parti ha agito in modo sleale, deve concederle il diritto di essere sentita. La decisione sulle spese può essere impugnata insieme alla decisione sul merito e in tal caso è soggetta allo stesso rimedio giuridico di quest'ultima. Ai sensi dell'art. 110 CPC, la decisione sulle spese è impugnabile autonomamente solo con ricorso. Anche dinanzi al Tribunale federale la decisione sulle spese può essere impugnata insieme alla causa principale. Se sono controverse solo le spese del procedimento cantonale, occorre distinguere: se l'istanza cantonale superiore ha deciso anche nel merito, con le spese dinanzi al Tribunale federale si impugna solo un punto accessorio di tale decisione. Il ricorso è regolato dalle norme applicabili alla causa principale e sono disponibili i mezzi di ricorso ivi previsti. Se invece già nel procedimento cantonale di appello o di ricorso era controverso solo il punto relativo alle spese, questo è determinante e, a seconda del valore della controversia e a seconda che si tratti di una questione di diritto di importanza fondamentale, è possibile presentare ricorso in materia civile o ricorso costituzionale sussidiario. Il valore della controversia è determinato, ai sensi dell'art. 51 cpv. 1 lett. a LTF, in base alle spese contestate nel procedimento cantonale.

51 Le multe disciplinari ai sensi dell'art. 128 cpv. 3 CPC sono inflitte dal tribunale nell'ambito della conduzione del procedimento (art. 124 cpv. 1 CPC) in un procedimento disciplinare. Esso decide d'ufficio se infliggere una multa d'ordine in un caso concreto. La controparte nel processo civile non è direttamente coinvolta nel procedimento disciplinare e non ha diritto di presentare istanze in tale sede. Il diritto della persona interessata di essere sentita deve essere garantito. L'irrogazione di un'ammenda disciplinare può essere impugnata, ai sensi dell'art. 128 cpv. 4 CPC, con ricorso ai sensi degli art. 319 segg. CPC e, a seconda dei casi, con ricorso in materia civile o ricorso costituzionale sussidiario. Si ricordi solo marginalmente che l'applicazione di sanzioni penali deve avvenire nell'ambito del procedimento penale competente e che il risarcimento dei danni deve essere fatto valere in un procedimento civile.

VI. Vizi di apertura e indicazione errata dei rimedi giuridici (art. 52 cpv. 2 CPC)

52 Come già esposto, dal principio di buona fede deriva che una parte non può subire uno svantaggio derivante da un vizio di apertura e in particolare da un'indicazione errata dei rimedi giuridici. In caso di informazioni errate sui rimedi giuridici, l'autorità di ricorso è quindi vincolata alla fiducia che l'autorità precedente ha suscitato nella parte con le informazioni errate. Secondo la giurisprudenza vigente fino alla revisione del codice di procedura civile del 17 marzo 2023, godeva della tutela dell'affidamento la parte che non era a conoscenza del vizio e che non avrebbe dovuto esserne a conoscenza nemmeno prestando la dovuta attenzione. Il grado di attenzione richiesto era determinato dalle circostanze del singolo caso. Non era possibile fare affidamento su un'informativa sui mezzi di ricorso errata se il vizio era già riconoscibile al momento della consultazione delle disposizioni procedurali applicabili. Non era invece necessario, in linea di principio, consultare la giurisprudenza e la letteratura pertinenti oltre al testo della legge. Tuttavia, la parte non rappresentata da un avvocato poteva essere tenuta a consultare la legge solo se disponeva di conoscenze sufficienti per individuare le disposizioni pertinenti e, se del caso, interpretarle. Gli avvocati avevano maggiori responsabilità e dovevano almeno controllare sommariamente l'indicazione dei mezzi di ricorso. A seconda della situazione, la legittima aspettativa della parte poteva essere soddisfatta prorogando il termine di ricorso o rinviando la questione all'autorità competente. Per contro, un'indicazione errata dei mezzi di ricorso non poteva creare un mezzo di ricorso non previsto dalla legge. In base agli stessi principi, una parte che agiva con la dovuta diligenza non poteva subire alcun svantaggio anche a causa di ulteriori vizi di notifica, ad esempio la consegna di una decisione a una terza persona non autorizzata a riceverla. Tuttavia, sia i vizi di notifica che le informazioni errate sui mezzi di ricorso avevano effetto solo se la parte era stata effettivamente indotta in errore e svantaggiata. Se, nonostante l'irregolarità della notifica, la parte era venuta a conoscenza della decisione o aveva potuto presentare tempestivamente un ricorso, non poteva invocare il vizio di procedura.

53 Le Camere federali hanno ritenuto questa giurisprudenza in materia di informazioni errate sui rimedi giuridici troppo severa o addirittura eccessivamente formalistica, motivo per cui, con la revisione del Codice di procedura civile del 17 marzo 2023 (in vigore dal 1° gennaio 2025), non da ultimo in nome della «facilità di comprensione per i non addetti ai lavori», hanno integrato una disposizione di legge in materia all'art. 52 cpv. 2 CPC. Il testo della disposizione inserito nella legge («Le indicazioni errate sui rimedi giuridici sono efficaci nei confronti di tutti i tribunali nella misura in cui sono vantaggiose per la parte che vi fa riferimento») è certamente molto ampio e la sua applicazione solleva diverse questioni. Chevalier/Boog sottolineano ad esempio che nelle informazioni sui mezzi di ricorso può essere indicato un mezzo di ricorso non previsto dalla legge oppure che le informazioni possono contenere indicazioni errate sull'effetto sospensivo del mezzo di ricorso. La prassi non potrà fare a meno di trovare soluzioni in questo ambito, per cui sarebbe opportuno limitare l'applicazione della disposizione nel suo ampio significato letterale. A questo proposito si può fare riferimento a quanto segue:

54 Nel corso delle discussioni parlamentari è stato più volte sottolineato che l'applicazione delle norme procedurali spetta al tribunale e che le parti possono fare affidamento su relative indicazioni indipendentemente dal fatto che siano rappresentate da un avvocato o meno. In base alla giurisprudenza precedente, ritenuta troppo severa, la parte non dovrebbe infatti correre il rischio di una decisione di non entrata nel merito qualora l'istanza superiore interpreti una disposizione relativa ai termini in modo diverso dall'istanza inferiore. A prescindere dal fatto che ci si possa chiedere in che misura sia utile per i non addetti ai lavori che i rappresentanti legali (professionisti) beneficino della nuova disposizione, con la revisione il Parlamento sembra aver inteso principalmente correggere la giurisprudenza precedente nel senso che non si può esigere un livello eccessivo di attenzione da una parte (o dal suo rappresentante) in caso di informazioni errate sui mezzi di ricorso. La nuova normativa non dovrebbe quindi comportare un completo allontanamento dai principi finora applicati. Ad esempio, un tribunale non potrà continuare a creare un rimedio giuridico sconosciuto al codice di procedura civile fornendo informazioni errate. Inoltre, l'art. 52 cpv. 2 CPC si applicherà solo alle indicazioni del tribunale che costituiscono parte integrante delle indicazioni sui rimedi giuridici, come la designazione dell'autorità competente o la durata del termine di ricorso. Ciò vale a maggior ragione in quanto nel processo civile un vantaggio concesso a una parte in base al principio della buona fede si ripercuote spesso a svantaggio della controparte. I parlamentari erano tuttavia consapevoli di questa problematica. Per quanto riguarda la diligenza da osservare nel trattare le indicazioni errate sui mezzi di ricorso, anche secondo la nuova normativa non deve essere garantita la tutela giuridica in caso di grave negligenza processuale da parte della parte o del suo rappresentante. In Parlamento è stato sottolineato che nessuno può fare affidamento su indicazioni sui mezzi di ricorso manifestamente errate («complètement loufoque») che prevedono un termine di 3000 giorni. La nuova normativa non mira a «fare di tutto e di più o a premiare i cattivi avvocati». Una soluzione diversa sarebbe difficilmente conciliabile con il fatto che qualsiasi normativa deve mirare alla coerenza nel sistema di valutazione esistente. Tale coerenza non sarebbe garantita se l'art. 52 cpv. 2 CPC consentisse a una parte, in caso di indicazione errata dei rimedi giuridici, un comportamento che a sua volta sarebbe da qualificare come contrario alla buona fede o abusivo e quindi in contrasto con il principio sancito dall'art. 52 cpv. 1 CPC. Come in precedenza, è inoltre necessario che l'informativa sui mezzi di ricorso errata abbia effettivamente prodotto effetti. Se ciò non è il caso, ad esempio se un ricorso è stato presentato in tempo nonostante l'informativa errata, non sussiste già di per sé un'esigenza di tutela della parte interessata. Infine, l'informativa sui mezzi di ricorso non ha alcun effetto quando si discosta dalla normativa del codice di procedura civile a svantaggio della parte.

55 Secondo il suo tenore letterale, l'art. 52 cpv. 2 CPC riguarda solo il caso di un'indicazione errata dei rimedi giuridici. La disposizione dovrebbe tuttavia produrre effetti anche nel caso più generale dei vizi di apertura, che è in gran parte disciplinato dagli stessi principi, il cui trattamento differenziato non è quindi giustificato.

56 L'art. 407f CPC non menziona l'art. 52 cpv. 2 CPC tra le disposizioni (direttamente) applicabili alle procedure già pendenti all'entrata in vigore della revisione del codice di procedura civile del 17 marzo 2023. Per quanto riguarda questa disposizione, resta quindi valido il principio generale secondo cui i procedimenti già pendenti al 1° gennaio 2025 devono essere conclusi dinanzi all'autorità competente secondo il diritto precedente.

(Maggio 2025)

L'autore

Dr. iur., avvocato, cancelliere presso la II Corte civile del Tribunale federale. Il presente commento riflette esclusivamente l'opinione dell'autore. L'autore ringrazia l'avvocato Dr. iur. Marco Levante e l'avvocato Matthias Gross, LL.M., per la revisione critica del commento e per le preziose osservazioni e suggerimenti.

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Tschannen Pierre/Müller Markus/Kern Markus, Diritto amministrativo generale, 5a ed. 2022.

Wiegand Wofgang, Vertrauensentsprechung, in: Wiegand Wolfgang/Koller Thomas/Walter Hans Peter, Tradition mit Weitsicht, Festschrift für Eugen Bucher um 80. Geburtstag, Berna 2009, pag. 819 segg.

Zeller Ernst, Buona fede e divieto dell'abuso del diritto, Zurigo 1981.

I materiali

Messaggio del 28.6.2006 concernente il Codice di procedura civile svizzero (CPC), in: FF 2006 7221 (cit. messaggio CPC).

Progetto di modifica del Codice di procedura civile svizzero (miglioramento dell'applicabilità pratica e dell'esecuzione del diritto), in: FF 2020 2785 (cit. progetto applicabilità pratica).

Progetto di modifica del Codice di procedura civile svizzero (azione collettiva e transazione collettiva), in: FF 2021 3049 (cit. progetto azione collettiva).

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DOI (Digital Object Identifier)

10.17176/20250521-163148-0

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